Dall’invasione del Giappone in Cina fino ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, la Seconda guerra mondiale si estese nell’Asia orientale e sud-orientale tra il 1937 e il 1945. Mentre in alcuni Paesi europei la Seconda guerra mondiale è spesso ricordata come una lotta contro il fascismo e un momento di liberazione nazionale, il conflitto nel Pacifico seguì un percorso diverso: uno in cui ambizioni imperiali, dominazione coloniale e movimenti di resistenza si scontrarono. Per molti in Asia, la fine della guerra non segnò una vera liberazione, ma l’inizio di una nuova lotta per liberarsi non solo dall’occupazione giapponese, ma anche dai vecchi poteri coloniali occidentali. Nel commemorare l’anniversario di Hiroshima e Nagasaki, è fondamentale riscoprire questo altro fronte del conflitto globale e riflettere su come la sua tragica conclusione abbia trasformato non solo il Giappone, ma l’intero continente asiatico.
Una guerra che iniziò in Asia
Sebbene la guerra mondiale cominci formalmente in Europa nel 1939, in Asia la Seconda guerra mondiale era già iniziata due anni prima, con l’invasione su larga scala della Cina da parte del Giappone nel luglio 1937, un conflitto noto come la Seconda guerra sino-giapponese. Dopo uno scontro nei pressi di Pechino il 7 luglio, le ostilità si intensificarono rapidamente. Il Giappone cercava di dominare l’Asia orientale, conquistando grandi città come Shanghai e Nanchino, dove le sue forze commisero atroci violenze contro i civili.
Sebbene inizialmente la Cina fosse sola nella resistenza, continuò a combattere, sostenuta in parte da un limitato aiuto da parte dell’Unione Sovietica, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Con l’espansione giapponese nella regione, anche le potenze occidentali iniziarono a prestare attenzione. Dopo il congelamento dei beni giapponesi il 26 luglio, gli Stati Uniti imposero un embargo sul petrolio il 1º agosto 1941 e, nel dicembre dello stesso anno, il Giappone rispose con un attacco a sorpresa a Pearl Harbor. Questo evento portò gli Stati Uniti pienamente nel conflitto e diede inizio a una guerra feroce e complessa nel Pacifico.
Nei primi mesi del 1942, il Giappone conquistò numerosi territori – da Hong Kong alle Filippine fino alle Indie orientali olandesi – assicurandosi l’accesso a risorse vitali. Ma già a metà anno la situazione iniziò a cambiare: nella battaglia di Midway, le forze americane inflissero un duro colpo alla marina giapponese. Da quel momento in poi, gli Alleati iniziarono una lunga e sanguinosa riconquista, isola dopo isola, attraverso il Pacifico.
Hiroshima e Nagasaki
All’inizio del 1945, la posizione del Giappone era diventata sempre più difficile. Le forze statunitensi avevano raggiunto il territorio metropolitano giapponese e i bombardamenti americani causavano pesanti perdite civili. A marzo, il bombardamento incendiario di Tokyo uccise almeno 80.000 persone – forse fino a 100.000 – in una sola notte.
Ad agosto, la guerra giunse alla sua conclusione più violenta. Il 6 agosto, gli Stati Uniti sganciarono una bomba atomica sulla città di Hiroshima; il 9 agosto, un’altra cadde su Nagasaki. La distruzione fu immediata e totale. Decine di migliaia morirono all’istante, e molte altre persone persero la vita successivamente a causa delle ferite e dell’esposizione alle radiazioni. Questi bombardamenti restano tra le decisioni militari più controverse della storia: da alcuni considerati una misura necessaria per costringere alla resa, da altri come un uso senza precedenti del terrore di massa.
Proprio il giorno del bombardamento di Nagasaki, l’Unione Sovietica lanciò un’invasione su vasta scala della Manciuria, evento che scioccò la leadership giapponese e accelerò il processo di resa.
Il Giappone dichiarò la sua intenzione di arrendersi il 15 agosto, con la firma ufficiale della capitolazione avvenuta il 2 settembre, segnando la fine della Seconda guerra mondiale. Eppure, in molte parti dell’Asia, la vera pace era ancora lontana.
La fine della guerra e l’ascesa dei movimenti indipendentisti
La fine della guerra in Asia segnò la caduta dell’impero giapponese, ma non portò immediatamente all’autodeterminazione della regione. Diversamente dall’Europa occidentale, dove la liberazione significava spesso il ripristino della sovranità nazionale e della democrazia, in Asia il concetto di “liberazione” assunse un significato più complesso. “Liberazione” significava la sconfitta del Giappone, ma per molti evocava anche la speranza di liberarsi da secoli di dominio occidentale.
Prima della guerra, la maggior parte dell’Asia era sotto il controllo straniero: l’India e la Malesia sotto gli inglesi, l’Indocina sotto i francesi, l’Indonesia sotto gli olandesi e le Filippine sotto gli americani. L’occupazione giapponese, sebbene brutale e sfruttatrice, aveva interrotto queste strutture coloniali e, in alcuni casi, ispirato visioni di un futuro diverso. Con la fine della guerra, quelle speranze si trasformarono in rivendicazioni.
Per molti attivisti indipendentisti, come Aung San in Birmania e Sukarno in Indonesia, il conflitto rappresentò un’occasione per affermare le proprie aspirazioni di sovranità. Credevano che, con la sconfitta del Giappone, nuove nazioni asiatiche potessero emergere nel vuoto lasciato dai vecchi imperi.
Tuttavia, il ritorno delle potenze coloniali occidentali complicò questa visione. I governi europei si mossero rapidamente per ristabilire il controllo: i britannici ripresero la Malesia e Hong Kong; i francesi tornarono in Indocina. Questi tentativi di restaurare l’autorità prebellica provocarono nuove ondate di disordini e violenza. In molte regioni, l’indipendenza fu conquistata solo dopo lunghi e sanguinosi conflitti, alcuni dei quali durarono fino agli anni Cinquanta e oltre.
Un nuovo equilibrio di potere
Accanto al fermento decoloniale, cominciava a prendere forma un nuovo ordine globale. Nel 1943, il leader cinese Chiang Kai-shek si unì a Roosevelt e Churchill alla Conferenza del Cairo, un momento che simboleggiava, per la prima volta, il riconoscimento di un leader non occidentale come partner a pieno titolo nella strategia alleata.
Ma questo riconoscimento fu presto messo alla prova. I rapporti tra Stati Uniti e Cina si deteriorarono durante la guerra e, nel 1949, il Partito Comunista Cinese prese il controllo della Cina continentale, alterando l’equilibrio politico in Asia. Nel frattempo, il Giappone, occupato dagli Alleati dal 1945 al 1952, subì una trasformazione profonda: le sue strutture imperiali furono smantellate e il Paese fu riformato in una democrazia parlamentare.
Tuttavia, l’eredità più duratura della guerra del Pacifico non fu solo nelle istituzioni trasformate o nelle nuove alleanze. Fu il crollo irreversibile del vecchio ordine imperiale. La guerra aveva infranto l’illusione dell’invincibilità occidentale e scatenato movimenti destinati a ridisegnare la mappa politica dell’Asia.
Ricordare Hiroshima e Nagasaki
Nel celebrare l’anniversario di Hiroshima e Nagasaki, siamo stati chiamati a riflettere non solo sul potere terrificante della bomba atomica, ma anche sulla fragilità della pace e sulle cicatrici profonde lasciate da decenni di guerra e colonizzazione.
Per molti in Asia, la fine della Seconda guerra mondiale non rappresentò una liberazione nel senso europeo-occidentale, ma un punto di svolta che intensificò la lotta per costruire un futuro finalmente libero da ogni dominazione straniera.